sabato 2 giugno 2012

Trauma e disturbi post traumatici

Il Trauma


La parola greca "Trauma" significa "ferita", e tale senso viene mantenuto in tutte le definizioni che è possibile trovare sui dizionari: "lesione determinata da una causa violenta, anche nel campo psichico" (Zanichelli); "lesione determinata dall'azione violenta di agenti esterni [...] emozione che incide profondamente sulla personalità del soggetto" (Garzanti). Nelle diverse definizioni ci si riferisce comunque ad una lacerazione dovuta ad un forte impatto a livello sia fisico che psicologico, un impatto che sembra aprire un profondo solco, uno spartiacque tra un "prima" e un "dopo", quasi fosse impossibile ricreare un continuum nella propria esistenza.


Quando si parla di trauma psicologico, ci si riferisce alle manifestazioni psichiche di un’esperienza particolarmente negativa (in una circostanza, ambito o relazione) da cui derivano una disorganizzazione e una disregolazione del sistema psicobiologico della persona. Il trauma psicologico è una reazione psichica – da intendere come una ferita causata da un fattore traumatico (stressor) – che comporta primariamente l’essere sopraffatti da emozioni molto dolorose e intollerabili, e tutto il coinvolgimento della persona per poterle gestire.


Nelle prime definizioni diagnostiche del disturbo post traumatico da stress, una varietà di esperienze traumatiche venivano considerate situazioni stressanti solo se potevano essere definite "al di fuori del range usuale dell'esperienza umana". Si presupponeva che uno stressor potesse essere definito oggettivamente come traumatico senza tener conto dell'interpretazione personale degli eventi.


L'entità del Trauma


Possiamo infatti considerare il trauma da due punti di vista diversi ma complementari: l’aspetto oggettivo e quello soggettivo. Se consideriamo l’aspetto oggettivo del trauma, valutiamo prevalentemente la drammaticità intrinseca all’evento: esistono eventi come l’abuso o la tortura, per esempio, che sono esperienze dolorose e insostenibili per chiunque le subisce, con effetti potenzialmente distruttivi, e che si connotano come esperienze oggettivamente traumatiche. Considerando, invece, la dimensione soggettiva, la nostra attenzione si sposta dall’evento al soggetto dell’evento. In questo caso, il modo individuale di elaborare l’esperienza traumatica dal punto di vista emotivo e cognitivo fa una grande differenza.


L’entità “oggettiva” del trauma, infatti, non spiega come mai persone che sperimentano traumi oggettivamente “minori” rispetto ad altri, possano subire conseguenze psicologiche di portata superiore: ci sono, infatti, individui che tendono a sentirsi subito sopraffatti dagli eventi, ed altri che invece combattono fino all’estremo delle loro forze senza mai smettere di sperare di potercela fare.


Ad oggi, nella definizione di un'esperienza traumatica si include la reazione della persona e altre variabili relative alla valutazione della situazione. Generalmente, le manifestazioni psicopatologiche di un’esperienza traumatica, sono fatte derivare da ognuno o da entrambi i seguenti stressor:


dall'aver vissuto o esser stati testimoni di un evento stressante di natura violenta (morte, lesioni, minacce all’integrità fisica e psicologica)
da una serie di microtraumi relazionali avvenuti nelle prime fasi dello sviluppo emotivo (separazioni precoci, maltrattamento, trascuratezza psicologica, carenza di sintonizzazione affettiva) che si sono stabilmente ripetuti nel tempo, compresa l’adolescenza.


Vulnerabilità e Resilienza al Trauma


Dal momento che, come abbiamo accennato, la reazione psichica ai traumi è prevalentemente soggettiva, cos’è che fa sentire gli individui sopraffatti e trasforma un’esperienza stressante in un trauma personale?
La consistenza e il grado dell’esperienza traumatica dipendono dallavulnerabilità e dalla resilienza individuale.


In fisica, la resilienza è la capacità di un materiale di resistere ad un urto improvviso senza spezzarsi ed è importante per prevedere come un materiale si comporta se sottoposto a sollecitazioni applicate in un modo brusco e improvviso come, per l'appunto, un trauma. La parola resilienza è stata introdotta in psicologia per indicare la capacità umana di reagire a eventi traumatici.


In genere, fino a quando gli individui riescono a immaginare un modo per evitare l’inevitabile, o sentono che c’è qualcuno più forte che si prende cura si loro, sembra che i sistemi psicologici e biologici siano protetti dalla minaccia della sopraffazione. Quando, invece, un individuo non è forte abbastanza da affrontare le minacce esterne e l’ambiente esterno non riesce a portare soccorso, l’incapacità di agire in modo tale da eliminare la minaccia può provocare una reazione da stress acuto. Di conseguenza, è l’intensità della reazione emotiva – determinata dal significato attribuito all’evento più che dall’evento in sé – che alla fine spiega le eventuali conseguenze psicopatologiche di un’esperienza potenzialmente traumatica.


L'esperienza traumatica solitamente prende la persona di sorpresa, inducendo in lei un soverchiante senso di perdita di controllo che sfida la percezione di sé, degli altri e del mondo. Dopo un'esperienza traumatica è facile sentire di non avere più il controllo sulla propria vita e su ciò che può capitare. Ci si sente vulnerabili ed il mondo non sembra più sicuro come prima. Diventa difficile dare un senso a quello che verrà: il significato della vita che era presente fino a poco prima non c'è più, nulla sembra più giusto ed equo.


Questo fa si che l'individuo possa mettere in atto reazioni che ritiene utili poiché lo sono state in passato, in altre esperienze significative della sua vita (per esempio, l'idea che la cosa migliore da fare sia "smettere di pensarci") - o che possono essere spontanee (ad esempio, iniziare ad evitare tutti i luoghi e le persone che possono far sorgere ricordi devastanti), ecc.


Tra le reazioni al trauma di quei soggetti che finiscono con lo sviluppare un disturbo post traumatico si riscontra spesso: il tentativo di controllare i propri pensieri e cancellare l'esperienza traumatica, l'evitamento di tutte le situazioni associabili al trauma, la richiesta d'aiuto, la rassicurazione e le lamentele, A loro volta, questo tipo di reazioni possono diventare il problema che impedisce una sana rielaborazione del trauma.


Sintomi post-traumatici


I principali disturbi accusati dai pazienti che soffrono un disturbo post traumatico sono riassunti dalla "triade sintomatologica": 


1) intrusioni
2) evitamento
3) ipervigilanza.


Tra i sintomi, in particolare, si possono riscontrare:

Flashback: la persona presenta ricordi ricorrenti e intrusivi dell'evento, che si propongono alla coscienza ripetendo il ricordo dell'evento. In rari casi la persona può rivivere questi flashback in uno stato dissociato comportandosi come se stesse vivendo l'evento in quel momento.
Incubi: che possono far rivivere l'esperienza traumatica durante il sonno in maniera molto vivida.
Ottundimento: uno stato di coscienza simile allo stordimento e alla confusione. Di solito, subito dopo l'evento traumatico ha inizio una riduzione della reattività verso il mondo esterno. La persona può lamentare una marcata riduzione dell'interesse o della partecipazione ad attività precedentemente piacevoli o di sentirsi distaccato o estraneo nei confronti delle persone o di avere una marcata riduzione della capacità di provare emozioni.
Evitamento: la persona si sforza volontariamente di evitare pensieri, sentimenti o conversazioni in qualche modo riconducibili all'esperienza traumatica.
Aumentato arausal: caratterizzato da insonnia, irritabilità, ansia, aggressività e tensioni generalizzate.


Disturbi post-traumatici


Sulla base dei criteri che attualmente vengono presi in considerazione nelvalutare i disturbi post traumatici (tipologia oggettiva dell'evento, significatività e gravità della risposta del soggetto e durata temporale delle conseguenze) si distinguono tre differenti tipi di disturbi: i disturbi dell'adattamento; il disturbo acuto da stress; il disturbo post traumatico da stress.


- I disturbi dell'adattamento sono disturbi clinicamente significativi, ma in genere di lieve o moderata gravità, con sintomi per lo più di tipo depressivo e ansioso, reattivi ad un evento emozionalmente significativo con cui sono in rapporto causale abbastanza definito.
- Il disturbo acuto da stress è una manifestazione psicopatologica conseguente , entro un breve arco di tempo, all'esposizione ad un avvenimento molto grave.
- Il disturbo post traumatico da stress è una manifestazione psicopatologica di consistente gravità, spesso a lungo termine, con sintomi in  evidente relazione con l'esposizione ad un evento traumatico.


La terapia dei disturbi post-traumatici


La terapia dei disturbi post traumatici mira a permettere alla persona di riappropriarsi della "temporalità" della propria vita: non cancellando un passato che non può essere cancellato, bensì aiutandola a rimettere il passato nel passato, archiviando i ricordi traumatici e riattivando così la capacità di vivere il proprio presente e progettare il proprio futuro. Attraverso la psicoterapia il paziente viene aiutato a far riaffiorare ed a risvegliare le risorse sopite a causa del trauma per riprendere in mano le redini della propria vita.


Disturbo post traumatico da stress (PTDS)

Disturbo post traumatico da stress (PTSD)


Le persone che subiscono un trauma, possono manifestare diverse reazioni di fronte all’evento traumatico: a parità di gravità dell’evento, alcune riescono a superare l’accaduto in modo più adattivo di altre che invece ne soffrono le conseguenze per anni.

In quest’ultimo caso, è possibile che queste persone abbiano riportato un Disturbo post traumatico da stress (PTSD).


sintomi caratteristici di questo disturbo sono sempre conseguenza di un evento vissuto come traumatico, ad esempio una catastrofe naturale, un incidente automobilistico, una violenza subita durante l’infanzia o l’età adulta, un abbandono……. Il trauma si verifica ogni volta che un evento ha un impatto non risolto su un organismo.


Affinché si sviluppi un Disturbo post traumatico da stress (PTSD), non è tanto importante  “che cosa accade”, ma “come viene vissuto” dalla persona o dalle persone coinvolte.

Infatti il DSM-IV (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, IVª Edizione), classifica questi pazienti in tre tipologie, sulla base  di quanto e di come la persona sia stata esposta al trauma:




1) I TIPO: comprende le vittime che hanno subito in prima persona l’evento

2) II TIPO: comprende coloro che hanno assistito all’evento o coloro che hanno uno stretto legame affettivo (parenti, coniugi, figli) con le  persone che hanno subito direttamente il trauma

3) III TIPO: comprende tutte quelle persone che intervengono a prestare soccorso durante l’evento traumatico (per esempio i vigili del fuoco, la protezione civile, l’esercito….)

Durante i giorni o le settimane successive al trauma, i soggetti manifestano molteplici reazioni. Entro 48 ore dall’evento compaiono i primi sintomi intrusivi e le osservazioni cliniche dimostrano che, proprio in questo lasso di tempo, molti sopravvissuti rivalutino costantemente, quasi fosse un pensiero ossessivo, le proprie azioni o le proprie “azioni mancate” con una grande intensità.


In alcuni casi questi pensieri ricorrenti generano valutazioni negative su se stessi o sugli altri e innescano vissuti di colpa o inadeguatezza per il modo in cui ci si è comportati, spesso sono accompagnati dalla percezione che non si è stati in grado di reagire in modo congruo, veloce o dignitoso .


I sintomi del Disturbo post traumatico da stress (PTSD)


I sintomi accusati dopo l’evento traumatico possono comprendere:


1) Comportamenti di evitamento di tutto ciò che potrebbe riguardare o rievocare il     trauma, sia indirettamente che a livello simbolico e che causa un grande disagio psicologico
2) Flashback: pensieri intrusivi sotto forma di immagini, scene, sensazioni che rievocano l’accaduto. Nel caso dei bambini, a volte questi tendono a manifestare questo vissuto facendo giochi ripetitivi che hanno a che fare con elementi riguardanti il trauma
3) Incubi che fanno rivivere l’esperienza dell’evento in modo molto realistico con conseguente difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno

4) Iperattivazione: caratterizzata da insonnia, irritabilità, bisogno di controllo, nervosismo….

5) Attacchi di panico o stati d’ansia generalizzata

6) Depressione e disturbi dell’umore

7) Isolamento e alienazione

8) Problemi nel funzionamento sociale, lavorativo, scolastico per un lungo periodo successivo al trauma dovuti a difficoltà a rapportarsi agli altri, mancanza di concentrazione, senso di sfiducia  o rabbia

9) Abuso di sostanze (droghe, psicofarmaci, alcool…) in cerca di “sollievo” dalle sensazioni spiacevoli legate al trauma

10) Paura intensa

11) Stato di coscienza alterato, che genera ottundimento o confusione

12) Amnesie del trauma o sintomi dissociativi, soprattutto se il trauma è avvenuto durante l’infanzia

13) Sentimenti che compromettono l’aspetto relazionale come riduzione marcata dell’interesse o della partecipazione ad attività significative; sentimenti di distacco o di estraneità verso gli altri; affettività ridotta (per es. incapacità di provare sentimenti di amore);sentimenti di diminuzione delle prospettive future (per es. aspettarsi di non poter avere una carriera, un matrimonio o dei figli, o una normale durata della vita).

14) Disturbi fisici come stanchezza perdita di memoria e di concentrazione, vertigini, palpitazioni, tremori, difficoltà nel respirare (dispnea), «nodi» alla gola, nausea, diarrea, mal di testa, di collo e di schiena, disordini mestruali, variazioni del desiderio sessuale.


Diversi studi hanno individuato che l’insorgenza del Disturbo post traumatico da stress (PTSD) è più frequente in bambini e adulti che vivono o hanno vissuto in contesti di guerra, violenza (intra ed extrafamiliare), catastrofi,  povertà  e ignoranza. Tutti contesti in cui c’è scarsità di risorse personali, sociali o pratico- economiche.


Reazioni al trauma


La reazione che un individuo può mostrare in seguito al trauma dipende da due fattori:

1) l’entità del trauma (in riferimento alla cultura di appartenenza): più è grave l’evento critico, più la persona sperimenta impotenza,terrore e angoscia.

2) le caratteristiche della personalità pretraumatica ( la presenza, ad esempio, di un particolare  livello di vulnerabilità che può costituire un fattore predisponente all’insorgenza di un sintomo disadattivo)
Le modalità reattive possono presentarsi in diversi momenti nel tempo e avere diversa durata. In base a questi criteri, si suddividono in reazioni:


DIFFERITE: Inizialmente adeguate ma che evolvono, col trascorrere del tempo, in un assetto patologico

IPEREMOTIVE BREVI : Riguardano il 75-80% delle vittime e presentano manifestazioni psichiche e psicosomatiche come: shock, ansia, depressione, smarrimento, stupore, comportamenti automatici, tremori, palpitazioni, nausea ecc. Questa tipologia di reazioni può sfociare in disturbi nevrotici, psicotici o PTSD.

DI TOLLERANZA: La persona cerca di adattarsi fin dall’inizio alla situazione e col trascorrere del tempo recupera la propria adeguatezza


Le reazioni manifestate dinanzi ad una disgrazia possono rivelarsi cruciali per la sua sopravvivenza e, la reazione immediata che si ha nel momento del trauma, influenzerà la capacità di far fronte alla minaccia presente, o a quelle future, in modo funzionale. La capacità di tollerare e gestire la sofferenza è un fattore di grande importanza per l’adattamento a lungo termine, come è altrettanto fondamentale la capacità, da parte dell’individuo, di chiedere e trovare aiuto, rapportandosi alla proprie reti sociali.

Coloro che hanno reagito prontamente al trauma, sopravvivendo o favorendo la sopravvivenza di altre persone coinvolte, accusano meno i colpi del trauma e tendono ad avere una percezione di sé meno negativa, in quanto hanno prodotto delle risposte adattive e funzionali.


Alcune persone, nel tempo, riescono a trasformare le loro ossessioni dei ricordi traumatici, in esperienze positive, buttandosi a capofitto in attività gratificanti che canalizzano la loro attenzione in obiettivi specifici e sfruttano la propria esperienza come fonte di motivazione. È il caso di John F. Kennedy che, nonostante fosse tra gli uomini maggiormente ossessionati dai ricordi traumatici di guerra, divenne Presidente degli Stati Uniti.


Il trauma come blocco energetico


Secondo Peter Levine, medico e psicologo esperto sull’argomento, i sintomi traumatici non sono generati dall’evento traumatico in sé, ma dal residuo congelato di energia che non è stato risolto o scaricato e, in quanto tale, resta intrappolato nel sistema nervoso, disturbando costantemente i nostri pensieri e i nostri processi fisiologici.


Il trauma rappresenta una sorta di mina vagante, un frammento sconnesso dal resto del sistema che non è stato intergrato nella nostra esperienza, nella percezione che noi abbiamo di noi stessi e del mondo. Rappresenta un elemento di dis-integrazione che altera l’ equilibrio omeostatico del nostro organismo.

Questa energia residua, che non è stata scaricata durante l’evento traumatico, non sparisce da sola: resta in circolo nel corpo e produce tutta quella varietà di sintomi descritti sopra. La guarigione dal trauma dipende innanzitutto dal riconoscimento dei suoi sintomi perché, individuando questi, si riconosce anche la sensazione di trattenimento, di irrigidimento, di blocco che accompagna il trauma e che ha ostacolato la metabolizzazione di quell’ esperienza negativa che continua ad essere fonte di stress.


La terapia del Disturbo post-traumatico da stress


L’obiettivo della terapia dovrebbe essere quello di reintegrare, nel sistema psicofisiologico della persona, questa parte frammentata che disturba le altre funzioni e compromette la vita affettiva, sentimentale, lavorativa e sociale dell’individuo.

Per curare il trauma, non è utile rivangare vecchi ricordi e riviverne intensamente il dolore emotivo: ciò sortisce solo l’effetto ritraumatizzante, ma è invece più importante sperimentare e disincastrare la “scarica” di quell’energia che è rimasta bloccata durante l’evento traumatico, che ci ha impedito di fuggire, o affrontare il pericolo, o difenderci, o proteggere qualcuno……, congelandoci in una sorta di immobilità passiva che non ci ha concesso di essere operativi ed efficienti.

Quindi, più che andare a rispolverare il trauma, risulta essere maggiormente utile recuperare le nostre risorse personali e fisiologiche che, forse inconsciamente, abbiamo cercato di mettere in circolo già all’epoca del trauma evitando il peggio e che magari continuiamo ad utilizzare per garantirci la sopravvivenza, senza esserne consapevoli. La terapia dovrebbe aiutare le persone a recuperare quelle competenze necessarie per tornare a vivere contando sulle proprie forze e strategie, se l' organismo reagisce, spesso il trauma non si verifica o si supera più rapidamente.


La resilienza come forma di autoguarigione


La parola resilienza deriva dal latino "rimbalzare" e, in fisica, indica la proprietà di un corpo di incassare colpi senza rompersi per poi recuperare la forma originaria. Allo stesso modo, in psicologia indica l'attitudine di una persona a reagire a stress o traumi che, al contrario, potrebbero risultare gravemente invalidanti.

La resilienza non si riferisce ad un ottimismo semplicistico, ma ad un insieme di caratteristiche di personalità  che permettono all' individuo di reagire agli eventi di vita, traendo stimolo dalla realtà circostante che viene affrontata con calma, ponderazione, coraggio, intelligenza, moderazione e accettazione. Attraverso queste componenti, la persona sperimenta  il controllo sulla realtà che vive, sulle proprie azioni e percepisce di avere potere sul proprio destino.


La persona resiliente reagisce con tolleranza alla sofferenza e, invece di soccombere o lamentarsi con enfasi amplificando il problema, la sfida e trae forza  dalla sua impresa, direzionando le sue energie verso cambiamenti risolutivi e praticabili.


La possibilità di resilienza è influenzata dalla capacità di attingere alle proprie risorse personali, risorse che spesso si ignora di possedere o di aver messo in atto. La terapia stimola una rilettura dei propri comportamenti passati e presenti ed esplora le modalità di comportamento alternative che la persona è in grado di evocare e di produrre.






Trauma e memoria del trauma

Questo articolo tratta l’argomento della memoria del trauma e, nel particolare, di quei processi che possono, eventualmente, favorirne l’amnesia. Dopo un’iniziale introduzione su cosa si intenda per “trauma” e sui principali fattori che ne possono determinarne la reazione, l’articolo si focalizza sul funzionamento della coscienza (e della memoria in particolare) e sul modo in cui, reagendo all’esperienza traumatica, possa svilupparsi un’amnesia attraverso il meccanismo della dissociazione. L’ultima parte dell’articolo prende in considerazione il processo di reintegrazione dell’esperienza traumatica nella memoria autobiografica, il senso che questo processo svolge in psicoterapia ed il ruolo che l’ipnosi può avere nel favorirlo. 
Quando si parla di trauma psicologico, ci si riferisce alle manifestazioni psichiche di un’esperienza particolarmente negativa (in una circostanza, ambito o relazione) da cui derivano una disorganizzazione e una disregolazione del sistema psicobiologico della persona. 

Il trauma psicologico è una reazione psichica – da intendere come una ferita causata da un fattore traumatico (stressor) – che comporta primariamente l’essere sopraffatti da emozioni molto dolorose e intollerabili, e tutto il coinvolgimento della persona per poterle gestire. Generalmente le manifestazioni psicopatologiche di un’esperienza traumatica possono derivare da ognuno o da entrambi i seguenti stressor: 

- da un evento stressante di natura violenta (morte, lesioni, minacce all’integrità fisica e psicologica)
- da una serie di microtraumi relazionali avvenuti nelle prime fasi dello sviluppo emotivo (separazioni precoci, maltrattamento, trascuratezza psicologica, carenza di sintonizzazione affettiva) che si sono stabilmente ripetuti nel tempo, compresa l’adolescenza. 

La consistenza e il grado dell’esperienza traumatica dipendono dalla vulnerabilità e dalla resilienza individuale e, pertanto, la reazione psichica ai traumi è prevalentemente soggettiva. 

Possiamo infatti considerare il trauma da due punti di vista diversi ma complementari: l’aspetto oggettivo e quello soggettivo. Se consideriamo l’aspetto oggettivo del trauma, valutiamo prevalentemente la drammaticità intrinseca all’evento: esistono eventi come l’abuso o la tortura, per esempio, che sono esperienze dolorose e insostenibili per chiunque le subisce, con effetti potenzialmente distruttivi, e che si connotano come esperienze oggettivamente traumatiche. Considerando, invece, la dimensione soggettiva, la nostra attenzione si sposta dall’evento al soggetto dell’evento. In questo caso, il modo individuale di elaborare l’esperienza traumatica dal punto di vista emotivo e cognitivo fa una grande differenza. 

L’entità “oggettiva” del trauma, infatti, non spiega come mai persone che sperimentano traumi oggettivamente “minori” rispetto ad altri, possano subire conseguenze psicologiche di portata superiore: ci sono, infatti, individui che tendono a sentirsi subito sopraffatti dagli eventi, ed altri che invece combattono fino all’estremo delle loro forze senza mai smettere di sperare di potercela fare. 


Cos’è quindi che fa sentire gli individui sopraffatti e trasforma un’esperienza stressante in un trauma personale? 

In genere, fino a quando gli individui riescono a immaginare un modo per evitare l’inevitabile, o sentono che c’è qualcuno più forte che si prende cura si loro, sembra che i sistemi psicologici e biologici siano protetti dalla minaccia della sopraffazione. Quando, invece, un individuo non è forte abbastanza da affrontare le minacce esterne e l’ambiente esterno non riesce a portare soccorso, l’incapacità di agire in modo tale da eliminare la minaccia può provocare una reazione da stress acuto. Di conseguenza, è l’intensità della reazione emotiva – determinata dal significato attribuito all’evento più che dall’evento in sé – che alla fine spiega le eventuali conseguenze psicopatologiche di un’esperienza potenzialmente traumatica. 


Premesso questo, passiamo ora alla relazione tra trauma e memoria. Un trauma può infatti condurre a esasperate esperienze di ricordo o di oblio: le esperienze di eventi terrificanti possono essere ricordate con estrema vivezza, così come possono essere resistenti all’integrazione nella memoria. In alcuni casi invece si assiste alla combinazione di entrambi i fenomeni. Da cosa dipende? 

Da un punto di vista psicologico, oggi si ritiene che la nostra mente sia una sintesi esperienziale e concettuale di una realtà costituita da una pluralità di processi mentali, operanti a diversi livelli, organizzati gerarchicamente e coordinati attraverso una modalità di processamento cosciente superiore. Gli studi sulla neurofisiologia, infatti, mostrano come le informazioni vengono processate in forma frammentata in sistemi biologici separati ma interagenti. 

In contrapposizione alla psiche complessa e fisiologicamente scindibile, è presente un aspetto unificante, un processo innato tendente a fare di un individuo un’unità separata e completa, un centro organizzatore orientato verso la totalità. La tensione tra la tendenza alla dissociazione e la costruzione di un’organizzazione unitaria è alla base della struttura dinamica della psiche. 

I recenti studi sulla memoria hanno dimostrato l’esistenza in ogni individuo di un notevole grado di complessità nei sistemi mnemonici. La maggior parte delle funzioni della memoria hanno luogo al di fuori della consapevolezza individuale e ciascuna sembra operare con un relativo grado di indipendenza dalle altre.

Come scrive Bergson, la memoria non è la facoltà di classificar ricordi in un cassetto o di scriverli su di un registro. non c'è registro non c'è cassetto; anzi a rigor di termini non si può parlare di essa come di una "facoltà": giacché una facoltà funziona in modo intermittente, quando vuole o quando può, mentre l'accumularsi del passato su se stesso continua senza tregua. In realtà il passato si conserva da se stesso, automaticamente. Esso ci segue, tutt'intero in ogni momento: ciò che abbiamo sentito, pensato, voluto sin dalla prima infanzia è là, chino sul presente che esso sta per assorbire in sé, incalzante alla porta della coscienza, che vorrebbe lasciarlo fuori.


La funzione del meccanismo cerebrale è appunto quella di ricacciare la massima parte di passato nell'inconsciente per introdurre nella coscienza solo ciò che può illuminare la situazione attuale, agevolare l'azione che si prepara, compiere un lavoro utile. I due principali sistemi mnemonici possono essere riassunti brevemente come segue: 

Memoria dichiarativa (o esplicita): riguarda le informazioni comunicabili e che vengono richiamate consciamente. 
Memoria procedurale (o implicita): riguarda le informazioni relative a comportamenti automatici. 

La memoria dichiarativa può essere ulteriormente suddivisa in memoria episodica, che riguarda le informazioni specifiche a un contesto particolare, come un momento e un luogo, e memoria semantica, che riguarda idee e affermazioni indipendenti da uno specifico episodio. Per fare degli esempi, il ricordo della trama di un romanzo o di un film riguarda la memoria episodica, mentre ricordarsi il nome dei personaggi dello stesso romanzo o film riguarda la memoria semantica. La memoria autobiografica è un caso particolare della memoria episodica, che riguarda episodi realmente avvenuti al soggetto stesso.
La memoria procedurale riguarda invece soprattutto le abilità motorie e fonetiche, che vengono apprese con il semplice esercizio e utilizzate senza controllo attentivo volontario. 

Spesso capita che, quando gli individui si sentono minacciati, sperimentano una contrazione significativa della coscienza e rimangono concentrati solo sui dettagli percettivi centrali. Un’emozione violenta può interferire con il normale processo di elaborazione dell’informazione e con la sua memorizzazione nella memoria narrativa esplicita (dichiarativa). Tutti i ricercatori evidenziano come, in condizioni di forte sollecitazione, la memoria esplicita può fallire. L’individuo traumatizzato può sprofondare così in un “terrore muto” che impedisce di descrivere a parole ciò che è accaduto. Tuttavia anche se l’individuo è incapace di articolare una narrazione coerente dell’incidente, non è detto che vi sia un’interferenza con la memoria implicita: l’individuo può cioè “conoscere” la valenza emotiva di un determinato stimolo ed essere consapevole delle percezioni associate, senza però essere capace di esprimere chiaramente le ragioni per cui si sente o si comporta in un determinato modo. I ricordi possono essere così dissociati dalla coscienza ed essere invece memorizzati come percezioni sensoriali ad un livello implicito. Con il perdurare di questa “dissociazione”, le tracce dei ricordi continuano a emergere in forma di percezioni terrificanti, ossessioni, preoccupazioni e riesperienze somatiche, o come reazioni ansiose. 

La maggior parte dei ricercatori infatti sostiene che l’essenza della traumatizzazione sta nell’impossibilità, per alcune persone, di integrare l’esperienza traumatica nella propria coscienza ordinaria. 


In che modo quindi il ricordo di un trauma può essere “dissociato” dalla coscienza ordinaria? 

I processi associativi, che costituiscono la rete connettiva della nostra mente, di per sé non sono rigidi, ma si sviluppano, si modificano, si integrano, si organizzano gerarchicamente, nell'interazione con la realtà esperienziale e sono gli elementi che caratterizzano gli schemi personali interpretativi della realtà, dai più semplici ai più complessi. 

Da questo punto di vista, la memoria, in quanto funzione della personalità vivente, può essere intesa come capacità di organizzare e ricostruire le esperienze e le impressioni passate, al servizio dei bisogni, delle paure, e degli interessi del presente. Ciò che un individuo ricorda dipende dai suoi schemi mentali: una volta che un evento o un particolare frammento di informazione viene assimilato negli schemi mentali di un individuo, non sarà più disponibile come entità separata,immutabile, ma verrà deformato, sia dalle esperienze associate, sia dallo stato emotivo dell’individuo al momento del ricordo. 

Dal momento che i processi mentali rappresentano una sorta di entità unitaria, la dissociazione può essere considerata come una proprietà della mente che può rompere questa unità. In generale è possibile affermare che la dissociazione implica la disconnessione e la non integrazione di due o più processi mentali. Questa modalità di elaborare l'informazione può funzionare autonomamente come meccanismo di difesa in risposta allo stress. 


In caso di trauma, il ruolo della dissociazione come meccanismo di difesa ha a che fare con una compartimentazione dell’esperienza: gli elementi del trauma possono non venire assimilati in un insieme unitario ed in un senso del sé integrato (e pertanto sono esclusi dalla memoria autobiografica). In questo modo la dissociazione sembra essere il fattore cruciale che determina l’eventuale adattamento all’esperienza traumatica. In relazione al trauma, la dissociazione sta ad indicare un modo di elaborare l'informazione e viene oggi utilizzata per riferirsi a tre processi mentali diversi ma correlati: 


- La dissociazione primaria. Molti bambini e adulti sono incapaci, se posti di fronte a una minaccia opprimente, di integrare nella coscienza la totalità di ciò che sta accadendo loro. Alcuni componenti sensoriali ed emotivi dell’evento possono non essere assimilati nella memoria e nell’identità individuale, rimanendo isolati dalla coscienza ordinaria. L’esperienza traumatica si scinde nei suoi componenti somatosensoriali isolati, che non vengono integrati in un racconto personale. Questa frammentazione è accompagnata da stati dell’Io distinti dal normale stato di coscienza. Si tratta della dissociazione caratteristica del disturbo post-traumatico da stress i cui sintomi più drammatici – ricordi intrusivi fortemente angoscianti, incubi e flashback – sono espressione dei ricordi traumatici.
- La dissociazione secondaria. Dal momento che un individuo cade in uno stato mentale traumatico (dissociato), può verificarsi in lui un ulteriore disintegrazione di elementi dell’esperienza personale. Spesso negli individui traumatizzati come le vittime di incesto, i sopravvissuti a incidenti automobilisticie i soldati sul fronte, è stata descritta una dissociazione tra l’Io che osserva e l’Io che esperisce. Questi soggetti raccontano di avere abbandonato con la mente i loro corpi al momento del trauma, osservando ciò che accadeva da lontano. Queste tecniche di distanziamento, di dissociazione secondaria, permettono agli individui di osservare la propria esperienza traumatica come spettatori e di limitare dunque la sofferenza e lo stress, rimanendo così al riparo dalla piena consapevolezza dell’impatto dell’evento. In breve, se la dissociazione primaria riduce negli individui la consapevolezza della realtà dell’esperienza traumatica e permette loro di vivere temporaneamente come se niente fosse accaduto, la dissociazione secondaria allontana gli individui dalle sensazioni e dalle emozioni legate al trauma, in pratica anestetizzandoli. La dissociazione secondaria (detta anche “peritraumatica”) al momento del trauma sembra essere anche significativamente correlata con un successivo sviluppo di un Disturbo post-traumatico da stress.
- Dissociazione terziaria. Se gli individui sviluppano stati dell’Io distinti in cui dare spazio all’esperienza traumatica, costituiti da identità complesse, caratterizzate da specifici modelli cognitivi, affettivi e comportamentali, parliamo allora di “dissociazione terziaria”. Alcuni stati dell’Io possono contenere il dolore, la paura e la rabbia relative a particolari esperienze traumatiche, mentre altri stati restano inconsapevoli del trauma e dei sentimenti relativi, continuando a eseguire le funzioni ordinarie della vita quotidiana. Esempi di questo tipo di dissociazione sono rappresentati dai frammenti (alter) di identità dissociata multipla tipici del Disturbo Dissociativo dell’Identità – DID. Alcuni di questi alter sperimentano aspetti diversi di uno o più incidenti traumatici, mentre altri rimangono inconsapevoli di queste esperienze insopportabili. Nei limiti concessi dalla loro amnesia dissociativa, questi pazienti raccontano di abusi sessuali, fisici e psicologici, subiti in forma cronica fin dalla tenera età. 


La dissociazione, sebbene durante un’esperienza traumatica possa limitare l’impatto della sofferenza e dello stress, è priva di un valore adattivo a lungo termine, anche se spesso rimane un modo per fronteggiare le conseguenze dello stress. È importante sottolineare infatti che la persistenza della dissociazione tende a consolidare il potere dei ricordi non coscienti sul comportamento ordinario. In alcuni casi infatti chi è stato vittima di un’esperienza traumatica sviluppa la tendenza a dissociarsi di fronte allo stress: queste persone diventano così emotivamente represse e non riescono a provare una gamma completa di affetti all’interno di ciò che oggi chiamiamo lo stesso stato dell’Io – come nel caso del Disturbo Dissociato dell’Identità, in cui si sviluppano idee fisse entro identità totalmente separate (amnesiche l’una dell’altra). 


Un altro aspetto rilevante dal punto di vista psicoterapeutico è che finché rimane attiva la dissociazione del ricordo traumatico, molta gente con traumi pregressi può vivere abbastanza bene fino a quando non vengono stimolate le sensazioni legate ai ricordi traumatici. Se sono esposte a specifici stimoli emotivi o sensoriali, queste persone possono percepire o intraprendere azioni come se stessero nuovamente esperendo il trauma. E non è necessario che questi stimoli siano terrificanti: qualunque sentimento o sensazione legata ad una particolare esperienza traumatica può fare da innesco nel richiamare le sensazioni associate all’esperienza (nel caso di un abuso sessuale, ad esempio, la paura, il desiderio, l’intimità o l’eccitazione sessuale sono tutti stimoli potenzialmente idonei). 


Alla luce di quanto finora esposto, ci si può chiedere: che valore ha il recupero del ricordo di un trauma dal punto di vista psicoterapeutico? 

Per rispondere a questa domanda farò riferimento a due teorie della mente e del trauma che, seppur sotto certi aspetti simili, su questo aspetto sono diametralmente opposte: quella di Janet e quella psicoanalitica di Freud. 

A partire dalle sue indagini ipnotiche sui sintomi isterici multipli della celebre paziente Anna O., Freud e Breuer (1895) scoprirono che una rievocazione vivida degli eventi traumatici, associata ai relativi stati d’animo, portava alla risoluzione dei sintomi della paziente. La tecnica di Breuer consisteva nel portare alla coscienza i ricordi traumatici patogeni, verbalizzare le emozioni angosciose legate a quegli eventi e liberare le emozioni in un processo che Breuer e Freud definirono “catarsi” (abreazione). Secondo la prospettiva psicoanalitica, i ricordi traumatici vengono espulsi attivamente dalla coscienza da meccanismi di difesa dell’Io, che proteggono l’individuo da ricordi dolorosi. 

Secondo il punto di vista di Janet, invece, gli individui che si dissociano, lo fanno non a causa di una repressione attiva, ma piuttosto perché le loro funzioni mentali sono indebolite da “emozioni violente” che danneggiano la capacità di assimilare i contenuti mentali. L’individuo traumatizzato è cioè incapace di integrare i ricordi del trauma nella coscienza personale. Come molti specialisti contemporanei che curano i disturbi dissociativi, Janet riteneva che l’abreazione in quanto tale non fosse curativa. L’obiettivo da raggiungere deve essere quindi il controllo della dissociazione e l’integrazione dell’esperienza traumatica. 

Durante e subito dopo la prima guerra mondiale, gli psichiatri britannici che curavano le vittime della guerra intrapresero una lunga discussione sulla natura repressa o dissociata dei ricordi traumatici e quindi sul valore terapeutico dell’abreazione opposta all’integrazione dei ricordi dissociati nella consapevolezza individuale. Alla discussione partecipò anche C.G.Jung sostenendo l’inefficacia terapeutica della liberazione dell’emozione in eccesso, e riconobbe che l’abreazione non solo era inutile, ma spesso effettivamente dannosa. Come disse Jung “una ripetizione del momento traumatico può eliminare la dissociazione nevrotica soltanto quando la personalità conscia del paziente risulti così rafforzata dalla relazione con il terapeuta che il paziente può riportare coscientemente il complesso autonomo sotto il controllo della volontà”. 

A prescindere dalle divergenze teoriche, sembra comunque chiaro che laddove vi sia una compromissione dei processi integrativi della memoria e della coscienza, è da attendersi che la psicoterapia miri al ripristino della continuità di tali funzioni di integrazione. 

L’ultima questione rimasta in sospeso ha quindi a che fare sull’utilità dell’ipnosi per favorire questo processo di integrazione. 

Recenti teorie, convalidate empiricamente, evidenziano come la dissociazione conseguente a eventi traumatici è assimilabile ad una sorta di trance ipnotica spontanea, automaticamente auto-indotta nella vittima del trauma. L’ipnosi, d’altra parte, è un caso particolare di dissociazione: è possibile affermare che non c’è trance ipnotica senza un certo grado di dissociazione. Proprio per questo l’ipnosi, all’interno di un percorso psicoterapeutico, può facilitare il trattamento dei disturbi conseguenti ad un trauma in modi diversi. Rimaniamo comunque focalizzati sull’aspetto della memoria del trauma. 

La letteratura sull’argomento evidenzia come l’ipnosi non costituisca di certo un approccio originale al problema (dal momento che è il più antico), e rappresenta probabilmente il modo più efficace per consentire al paziente di rivisitare il trauma senza sentirsi annichilito. Nel particolare l'ipnosi consente di: 

- recuperare ricordi traumatici
- ristabilire il collegamento tra uno stato emotivo incongruo e il ricordo recuperato
- trasformare i ricordi traumatici 

Pur senza negare la veridicità di queste tre affermazioni, quanto è opportuno sottolineare è la delicatezza e la complessità del processo che porta al recupero ed all’integrazione dei ricordi nella coscienza. I ricordi traumatici vengono dissociati e sono stati dimenticati a causa delle terribili emozioni che suscitano: la semplice evocazione dei ricordi traumatici in ipnosi, senza operare alcun tipo di trasformazione o cambiamento, può innescare nuovamente l’esperienza traumatica rivissuta in maniera identica alla precedente. 

Se è vero che l’ipnosi può costituire un mezzo di esposizione terapeutica diretta che consente al ricordo traumatico di divenire ragionevolmente accessibile, è anche vero che il “semplice” recupero del ricordo non è di per sé terapeutico. Il recupero del ricordo traumatico in ipnosi non si limita ad essere un atto “ripetitivo” del trauma, ma creativo e trasformativo.

Psicoterapia dei disturbi post traumatici

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